giovedì 26 aprile 2007

Scrivevo nel marzo 1977 ...

Ci troviamo a San Carlos de Yapacanì (Ichilo), nel cuore della Bolivia tra il parallelo 17 di latitudine sud ed il meridiano 64 di longitudine ovest, in una pianura a 350 metri sul livello del mare, ai piedi della cordigliera delle Ande. La zona dove opera la Comunità è vasta una volta e mezzo il Friuli-Venezia Giulia ed è abitata da 30 mila persone. Non ci sono vere e proprie città: i centri più grossi non superano i due o tre mila abitanti e sono collegati tra di loro con strade percorribili solo a piedi o a cavallo, specialmente durante la stagione delle piogge.
In questo luogo il progresso non è ancora arrivato: l'acqua nelle case è una rarità come rare sono le case di mattone; non ci sono né televisori, né telefoni, manca un servizio postale efficiente e i giornali arrivano con molti giorni di ritardo. Per spedire questa lettera bisognerà andare in una località a 60 chilometri da qui (Montero), dove l'ufficio postale è aperto due giorni alla settimana.
I "campesinos" (questo nome indica i piccoli coltivatori) vivono di quel poco riso che riescono a produrre con metodi antiquati. Dal punto di vista sanitario, tutta la popolazione è assistita da cinque medici in due ospedali senza sala operatoria e sprovvisti anche delle attrezzature per le radiografie. La situazione scolastica non è migliore: ci sono poche " scuole medie " e queste esistono solo nei centri più grossi. Nelle campagne, lungo le strade che portano nelle zone di " colonizzazione ", ci sono le scuole rurali, sprovviste di libri di testo e con insegnanti senza esperienza didattica.
Tre anni fa (1974) arrivarono in questa zona i primi salesiani e i primi volontari. Vista l'estrema gravità della situazione decisero di operare uniti, religiosi e laici per raggiungere, sia pure con diversi compiti, un'unica finalità: l'Evangelizzazione e la Promozione umana in questo angolo del mondo.
Quello che interessa a noi come Comunità, ancor prima delle strutture e delle costruzioni, è rendere cosciente la gente; far sì che senta proprio, anche materialmente, quello che sta costruendo, cercando di non instaurare quel rapporto sbagliato di aiuto che mette chi riceve nell'atteggiamento di passiva attesa di " doni ".
Qui c'è molto da fare, specialmente nel campo della medicina e dell'istruzione. Abbiamo bisogno di tutto e per questo siamo legati ad una organizzazione di gruppi giovanili (Operazione Bolivia) che lavora in Italia, sia sensibilizzando la gente dei problemi di questo Paese, sia raccogliendo fondi (con campi di lavoro, vendendo oggetti artigianali andini), sia raccogliendo medicinali, vestiario ecc. Così noi qui in America Latina ci sentiamo espressione e presenza dei nostri gruppi in Italia. Ora si iniziano a vedere i primi frutti del nostro lavoro. Per quanto riguarda l'assistenza sanitaria, abbiamo istituito una farmacia i cui medicinali arrivano quasi esclusivamente dall'Italia, e cerchiamo di assistere la gente del luogo iniziando dalla più povera. Si sta concretizzando anche un progetto più ambizioso: la costruzione e il funzionamento di un vero e proprio ospedale che con i suoi trenta posti letto sarà il più grande della zona. Nel campo della educazione scolastica stiamo cercando di sensibilizzare i giovani e le famiglie sull'importanza di una qualche istruzione. Alcuni di noi si sono anche inseriti nelle scuole come insegnanti. Data la mancanza di testi scolastici, abbiamo allestito una biblioteca che ora è curata da una giovane del luogo. La nostra Comunità cerca anche di insegnare ai campesinos i primi elementi di agraria.
Infine la Catechesi: solo sotto questa dimensione prendono significato le attività che svolgiamo presso questa gente. Noi siamo qui anche come espressione di " Chiesa " e la catechesi è un suo gesto quotidiano. Per questo teniamo dei corsi per preparare catechisti che poi assisteranno le loro Comunità nelle varie necessità.
Ora che siamo qui e viviamo la realtà del terzo mondo, vediamo i problemi sotto un'angolatura diversa e ci sentiamo di proporre anche dei modi più giusti per aiutare i popoli in via di sviluppo.
Il primo passo da farsi è quello di conoscere senza pregiudizi la storia e i problemi del terzo mondo. Bisognerebbe non fermarsi ad una normale informazione, ma cercare fonti obiettive e reali testimonianze di gente che ha vissuto quella realtà.
Solo conoscendo, infatti, si può voler bene, essere vicini e capire la " miseria " del terzo mondo per " condividere ". Allora acquista significato l'aiutare materialmente.

Michele e la Comunità S. Carlos

5 commenti:

Anonimo ha detto...

certo che a pensarmi bambina mentre ti salutavo che partivi perla prima volta mi sembra surreale pensare che ora c'e Stefano al mio posto... chissà se prova le mie stesse emozioni... ti bacio. Francesca

Anonimo ha detto...

Saludos para ti MIchele y que bueno poder visitarte, un abrazo

Anonimo ha detto...

Que bueno saludarte neuvamente, sabes ya quiero parender italiano para poder aprender mas de tu hermoso idioma, un abrazo

Anonimo ha detto...

HOY TE DESEO UN MUY FELIZ CUMPLEAÑOS, TODO LO MEJRO PARA TI, QUE TODOS SUS SUEÑOS SE HAGAN REALIDAD

Anonimo ha detto...

Ciao Michele e ciao Biba, certo che sono passati 30 anni da quando ti ho accompagnato al porto di Genova, ne ho cambiate di macchine fotografiche dalla mia prima Zenit (o come cavolo si scrive). Mi ricordo delle foto fatte, ma la cosa buffa che mi fà ridere e che siete riusciti a sbagliare albergo. Non è una cosa grave siete perdonati, ma visti i precedenti di mia sorella con i treni, fate molta attenzione con gli aerei. Salutoni Fabio.